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#27 - Droni cinesi dominano i conflitti, Olimpiadi al rush finale e il Guacamole maledetto
16 ott 2025
Edoardo Arbizzi
🌎 Sguardo Globale
🚁 Droni cinesi sui campi di battaglia: l’Europa corre ai ripari (ma è già in ritardo)
Ottobre 2025: dopo due anni di guerra in Ucraina e il recente cessate il fuoco a Gaza (entrato in vigore il 10 ottobre), l’Europa ha finalmente aperto gli occhi su una realtà scomoda. I droni commerciali cinesi hanno dominato i conflitti moderni, e l’Europa non ha alternative credibili.
DJI controlla il 76% del mercato europeo dei droni consumer e il 94% di quello enterprise. Ma il dato più preoccupante è un altro: gli stessi droni commerciali vengono convertiti per uso militare sui campi di battaglia, e l’Europa dipende quasi totalmente dalla tecnologia cinese.
I numeri parlano chiaro: la Russia ha prodotto 1,4 milioni di droni nel 2024, mentre l’Ucraina ne ha fabbricati solo 200.000. Il divario è significativo, e l’UE ha dovuto correre ai ripari con il Defence-AI Action Plan da 1,5 miliardi di euro.
La svolta normativa è arrivata a dicembre 2024: l’UE ha approvato nuove regole sul Procurement della difesa, obbligando gli Stati membri ad acquistare il 50% degli equipaggiamenti militari all’interno dell’Unione entro il 2030 e il 60% entro il 2035. L’obiettivo è ridurre la dipendenza da fornitori extra-europei, Cina in particolare.
Il paradosso della supply chain: l’Europa vuole essere indipendente, ma per costruire droni competitivi servono batterie, motori, elettronica avanzata. E per tutto questo servono materiali critici. Il professor Andrea Gilli del Politecnico di Torino sottolinea: “Se vogliamo un’industria europea dei droni, dobbiamo essere in grado di produrre batterie migliori... Questo significa litio, cobalto e tutti quei materiali di cui la Cina ha il monopolio”.
Aziende europee come Parrot (Francia) e Quantum-Systems (Germania) stanno cercando di colmare il gap, ma la strada è in salita. La produzione europea rimane limitata rispetto ai volumi asiatici, e i costi sono significativamente più elevati.
La lezione per il Procurement? La dipendenza tecnologica da un singolo paese per materiali critici rappresenta un rischio strategico. Costruire supply chain alternative richiede anni e investimenti massicci, ma diventa sempre più necessario in un contesto geopolitico instabile.
🔗 Fonti: Procurement Magazine
🏅 Milano-Cortina 2026: quando il Procurement deve correre più veloce degli atleti
Mancano meno di 4 mesi alle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026 (la cerimonia di apertura è fissata per il 6 febbraio 2026 allo Stadio di San Siro), e dietro le celebrazioni mediatiche c’è una macchina organizzativa che sta lavorando a ritmi forsennati.
I numeri del progetto sono impressionanti: 98 opere totali gestite da SIMICO (Società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026), di cui 67 opere di “legacy” destinate a rimanere come patrimonio permanente del territorio. Il budget complessivo è di 3,4 miliardi di euro per le infrastrutture più 1,7 miliardi per l’organizzazione dell’evento.
Ma lo stato di avanzamento desta preoccupazione: secondo l’ultimo aggiornamento della piattaforma “Open Milano Cortina 2026” al 31 luglio 2025, risultano completati solo 8 interventi sui 98 previsti. A ottobre 2025, i cantieri di Milano sono al 70% di completamento, mentre la situazione è più critica in altre sedi.
Le opere completate includono: la Venue Aerials Moguls a Livigno, i nuovi impianti per lo sci di fondo ad Anterselva, la riqualificazione della pista Eugenio Monti a Cortina, il centro del salto e il Padiglione Nicolaucich del Villaggio Olimpico a Predazzo, e lo stadio del fondo a Tesero.
Le sfide del Procurement olimpico sono uniche: non si può sforare la deadline (non esistono “rinvii olimpici”), non si possono accettare standard qualitativi inferiori (tutto il mondo guarderà), e serve coordinare decine di stakeholder diversi (comuni, regioni, comitato olimpico, fornitori privati) su 7 sedi di gara diverse: Milano, Cortina d’Ampezzo, Anterselva, Bormio, Livigno, Val di Fiemme e Tesero.
Il contesto è complicato anche da altre criticità: a inizio ottobre 2025, tre persone sono state arrestate per tentativo di infiltrazione negli appalti olimpici legati alla criminalità organizzata, mentre diverse opere hanno subito ritardi per problematiche geologiche e autorizzative.
La lezione? Quando la deadline non è negoziabile e il mondo intero sta guardando, il Procurement diventa mission-critical. Non c’è spazio per improvvisazione: serve pianificazione maniacale, relazioni solide con i fornitori, e la capacità di gestire imprevisti con rapidità.
🔗 Fonti: Sport e Finanza (1), Sport e Finanza (2)
🖼️ Meme del giorno

🍵 Curiosità
🥑 Il Guacamole Maledetto: Quando la Supply Chain Diventa Crimine Ambientale
Ogni anno gli Stati Uniti consumano oltre 1 milione di tonnellate di avocado. L’80% arriva dal Messico, per un valore di 4 miliardi di dollari. E dietro ogni toast instagrammabile c’è una storia che nessuno vuole raccontare.
I numeri: tra il 2014 e il 2023, la coltivazione di avocado ha causato la deforestazione di 40.000-70.000 acri di foresta tra Michoacán e Jalisco. Un’inchiesta del 2023 di Climate Rights International ha rivelato che giganti come Calavo Growers, Mission Produce e West Pak Avocado compravano da frutteti su terreni deforestati illegalmente. Questi avocado finivano negli scaffali di Costco, Kroger, Target, Trader Joe’s, Walmart e Whole Foods, etichettati come “sostenibili”.
La svolta di settembre 2025: l’industria messicana ha firmato un accordo con il governo federale. Da gennaio 2026, gli avocado da terreni deforestati illegalmente non potranno più essere esportati. Entro il 2030, obiettivo zero deforestazione globale.
Come funziona? Sistema di tracciabilità dal 2020: ogni avocado è tracciabile con barcode dal frutteto all’export. La piattaforma Guardian Forestal monitora i terreni e identifica i frutteti su aree deforestate dal 2018. Chi vuole la certificazione “Pro-Forest Avocado” deve verificare tutti i fornitori ed eliminare quelli su terreni deforestati.
La zona grigia: frutteti piantati su terreni deforestati tra 2018-2024 possono ancora qualificarsi se compensano i danni ambientali. Solo i terreni deforestati dal 2025 in poi saranno bannati per sempre.
Il dibattito: l’industria dice che solo il 3-5% della produzione è su terreni deforestati e parla di “copertura sensazionalistica”. Gli investigatori rispondono: “È un grave errore sottovalutare la severità: deforestazione, carenza d’acqua e collegamenti con il crimine organizzato.”
Il costo reale: 800 litri d’acqua per 1 kg di avocado. 2,4 kg di CO2 per kg. Quando le foreste native diventano monocolture, si perdono biodiversità, regolazione dell’acqua e stoccaggio del carbonio.
La lezione: l’85% dei 54.000 frutteti messicani dovrebbe qualificarsi nel 2026. Il restante 15% dovrà compensare i danni o uscire dal mercato. Chi compra avocado dovrà iniziare a chiedere: da dove viene? Ha la certificazione deforestation-free?
Perché il toast con avocado del brunch domenicale potrebbe costare molto più di quello che pensavi.
🔗 Fonti: Supply Chain Dive, Supply Chain Digital, CRI
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